Le monete di Atri sono tra le più antiche nella storia della nostra penisola, a testimonianza della grande sovranità ed autonomia che distingueva l’antica Hatria. Si tratta di emissioni monetali fuse in bronzo con un sistema ponderale arcaico greco e non latino, risalenti ad un periodo in cui nella penisola italiana vi era ancora il baratto. La collocazione temporale è particolarmente discussa; certo è, però, che appartengano ad un periodo posteriore al quarto secolo a.C.. La diffusione ci è testimoniata dal ritrovamento in diversi luoghi della penisola. Il sistema era caratterizzato dall’Asse, raffigurante la testa del Dio Adranus, mentre sul retro un cane accovacciato (peso gr. 430-350); il Semiasse, raffigurante sul fronte il volto di una donna con una sporgenza di conchiglia, mentre sul retro Pegaso (gr. 230-150); il Triente, raffigurante un profilo di giovane da un lato, mentre dall’altro un vaso (gr. 190- -130); in Quadrante, con un delfino ed un pesce (gr. 120-70); Sestante, con una gallina e due uova (Plinio lodò più volte la bellezza e la fecondità delle galline atriane) e una scarpa (gr. 70-35); l’Oncia, raffigurate rispettivamente un’ancora e un obolo (gr. 57-16); la Semioncia, con due simboli, il primo AS, il secondo H (gr. 25-23). Atri fu l’unica città dell’Adriatico a battere moneta prima di Roma. L’avanzata civiltà e il peso maggiore rispetto alle altre monete ne testimoniano l’antichità. Attualmente le monete atriane sono conservate in Atri, Roma, Berlino, Vienna e Londra. L’esigenza di monetare nasce in stretta connessione con i commerci che la città di Hatria intratteneva soprattutto con l’Oriente, Grecia e l’Egitto in particolare. A testimonianza della fecondità dell’antico Ager Hatrianus, sono anche i temi rappresentati nelle monete stesse, recanti un repertorio iconografico molto particolare: temi marini, razze e delfini, una gallina di specie particolare ricordata anche da Plinio“gallina nigra”, figure legate alla mitologia greca ed in particolare un Kantharos. Quest’ultima era una coppa per bere diffusa in ambito greco ed etrusco e spesso ricorrente nelle produzioni vascolari come attribuito a Dioniso, raffigurato sulla moneta come collegamento all’attività locale di viticoltura (Plinio, Naturalis Historia XXXV,12), come testimoniato anche da una bellissima lastra fittile con il satiro in vendemmia. Al di sopra vi sono tre germogli che costituiscono il simbolo della fertilità del territorio.